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LA SOPHIA DELLA GNOSI

  • andreabertolini62
  • 23 lug 2024
  • Tempo di lettura: 3 min

Attraverso i miti, gli autori gnostici narravano le vicende dei piani spirituali e degli esseri umani. Quindi, tali miti contengono indicazioni di lavoro o descrivono lo stato della nostra interiorità? Uno dei "personaggi" che maggiormente attira l'interesse è quello di Sophia e della sua "caduta". Quale significato ha questa vicenda rispetto alla psicologia dell’uomo?

Questa domanda ci permette di riprendere il filo di quanto trattato nel post precedente, che si concludeva con un invito a riflettere su questa asserzione: il Mito è Energia Viva mentre il Dogma è Materia Cristallizzata. Possiamo ora parlare dei miti nella cosmogonia gnostica.

Etimologicamente, il termine cosmogonia in greco significa «nascita del cosmo» e indica la dottrina o il complesso di miti riguardante l'«origine dell'universo». Abbiamo visto come i primi capitoli della Genesi traggano le loro fonti da un insieme di miti creazionistici di origine mesopotamica: questi miti delineano una cosmogonia alla quale aderiscono tuttora tre delle più grandi religioni del mondo: Ebraismo, Cristianesimo e Islam. Gli gnostici accettavano solo parzialmente la Genesi e avevano una propria cosmogonia della quale, a seconda delle scuole, esistevano diverse varianti.

Su questo punto gli eresiologi dei primi secoli, come Tertulliano e Ireneo, concentravano i loro attacchi. Essi accusavano gli gnostici di costruire mondi cosmogonici immaginari e fantastici sui quali non c’erano due scuole, anzi nemmeno due gnostici, che fossero d’accordo fra di loro. In realtà, per gli gnostici, la cosmogonia non era uno strumento dogmatico, qualcosa su cui costruire una fede, come avvenne nella chiesa ufficiale.

La cosmogonia era invece intesa come una mappatura del mondo spirituale e dell’invisibile, che fungesse da guida per chi cercava un contatto diretto con la dimensione della trascendenza. Nelle scuole gnostiche vigeva una grande libertà di pensiero e si aveva orrore per il dogma, quindi maestri diversi utilizzavano mappe diverse. Queste mappe, pur condividendo gli aspetti fondamentali del mito, si differenziavano nello schema adottato. Come affermava il filosofo e matematico polacco Alfred Korzybski (1879 – 1950) "la mappa non è il territorio": una mappa non è il territorio che rappresenta, ma, se corretta, ha una struttura simile al territorio, ed è questa la sua utilità (Alfred Korzybski, Science and Sanity).

Le cosmogonie gnostiche sono quindi delle mappe che possono guidarci nel nostro percorso interiore, ma dobbiamo prima capire come utilizzarle. Se non impariamo a riconoscervi gli elementi che hanno un preciso riferimento al nostro mondo psichico, queste narrazioni rimangono solo delle belle favole. Possiamo quindi dire che la cosmogonia è fondamentale per la Gnosi perché è la proiezione simbolica del lavoro che l'Uomo deve fare su sé stesso.



Veniamo ora a Sophia, figura femminile che rappresenta l’archetipo della conoscenza ed elemento centrale delle cosmogonie gnostiche più importanti: quella della scuola valentiniana e quella della Pistis Sophia. Il mito di Sophia, della sua caduta e del suo viaggio di ritorno al mondo divino sono sostanzialmente condivisi da tutti gli gnostici, ma prenderemo come riferimento la cosmogonia valentiniana che, secondo noi, è quella che meglio si presta a un primo approccio con questa tematica.

Sophia era uno degli Eoni (emanazioni divine) più importanti: l’Archetipo della Saggezza e della Conoscenza, originariamente integrata nel Pleroma (pienezza), il mondo divino della perfezione e della perfetta armonia. Per avvicinarsi almeno un poco all’idea del Pleroma, possiamo immaginarlo come una sfera di dimensioni infinite, la mente di Dio. Il suo centro è una profondità abissale e silenziosa dalla quale per emanazione si generano gli Eoni, che formano centri energetici corrispondenti ad altrettanti livelli della coscienza divina. Essi vanno ad occupare le diverse zone della sfera: le prime emanazioni sono più vicine al centro, mentre le successive sono via via più vicine alla circonferenza. Il Pleroma risulta così come un’immensa sfera satura di energia, vita, coscienza, amore.

Sophia, il più giovane degli Eoni, provò un ardente desiderio di conoscere l’Assoluto, l’origine del Tutto: la sua passione consisteva nel desiderio di avere una diretta comunicazione col Padre perfetto, di comprendere la Sua grandezza. Poiché tentava una cosa impossibile, fu in grande angustia per il desiderio di Lui e sarebbe stata assorbita dalla sua dolcezza e dissolta nel Tutto se non avesse incontrato Limite, la virtù che protegge il nucleo Divino e preserva tutto ciò che ne è al di fuori.

Così trattenuta, Sophia è consolidata nella sua posizione originaria fra gli Eoni, ristabilendo l’equilibrio interno al Pleroma. La sua passione aveva però generato una sorta di onda anomala che proiettò al di fuori del mondo divino un’entità, una specie di riflesso della Sophia originaria, che vagava nei luoghi dell’ombra e del vuoto. Gli gnostici chiamavano questa entità Sophia Acamoth e le sue vicissitudini, descritte negli sviluppi successivi del mito, sono uno specchio di quelle che ogni anima sperimenta nella prigione del mondo materiale: confusione, dimenticanza, oscurità, nostalgia delle origini.

Nel prossimo post riprenderemo questa narrazione cercando di identificare gli elementi che hanno un preciso riferimento al nostro mondo psichico.

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